Solo colpa del virus?

A volte si cercano responsabili distanti, forse troppo. Al punto che la distanza rende impossibile identificare le responsabilità. Che invece sono spesso più vicine. Lo si vede nel caso del rapporto tra stranieri e Covid-19, rispetto ai problemi aggiuntivi portati dalla pandemia nelle condizioni di vita già difficili dei migranti

Spesso dovremmo analizzare le nostre scelte e le nostre azioni, ma rimane comodo guardare altrove.

Quando facevo qualche marachella mio nonno mi diceva: qualcuno è sempre responsabile di qualcosa. Se non trovi un responsabile molto probabilmente il responsabile sei tu.
Il messaggio era chiaro. Prima di andare a letto la sera, dovremmo tutti fare un esame di coscienza e chiederci se siamo state brave persone. Riteneva che dovessimo esserlo 365 giorni l’anno è fatto, e che fosse fosse sufficiente un attimo di scortesia per vanificarli tutti. Questo dovrebbe valere ovunque.

I dati dell’Istituto Superiore di Sanità mostrano che nei primi mesi di pandemia la curva epidemica di Covid-19 tra gli stranieri presenta un ritardo di 8-10 giorni rispetto e un maggiore rischio di ospedalizzazione (e quindi di livello di gravità clinica) rispetto alla popolazione italiana. Probabilmente accade perché gli stranieri vanno incontro a un ritardo di diagnosi dovuto a un ricorso posticipato ai servizi sanitari.

La pandemia da Covid-19 ha portato con sé vari problemi aggiuntivi e aggravato condizioni di vita già difficili per le popolazioni migranti.

Si analizza il fenomeno delle migrazioni alla luce della pandemia descrivendo sia l’impatto sanitario che le cause socio-economiche di esso. La pandemia non ha colpito nella stessa misura le diverse comunità di stranieri, probabilmente in relazione al tipo di occupazione. Dopo la fine del lockdown, la quota percentuale di stranieri sul numero di casi totali è aumentata a partire da metà giugno, per poi diminuire a fine luglio. Nel frattempo, collegato alla ripristinata maggior mobilità dipendente sia dalla fruizione delle vacanze estive che dal rientro in Italia di stranieri, è aumentato il numero di casi importati, con una maggiore quota riferibile agli italiani.

La pandemia da Covid-19 ha evidenziato il significato di “salute globale” mostrando una propagazione secondo i movimenti e le relazioni degli individui a livello globale e il profondo legame che la salute ha con le altre dimensioni, quali il lavoro, l’ambiente e l’economia.

La pandemia ha messo in luce tutte le criticità e le insufficienze del sistema europeo in materia di migrazioni economiche e diritti. Provvedimenti come la chiusura dello spazio Schengen, il blocco dei voli e le restrizioni sui movimenti hanno avuto un fortissimo impatto sia su alcune economie che sugli stessi migranti coinvolti.

Oltre il 30% degli immigrati in età lavorativa sono classificati come key worker, ovvero impiegati in servizi essenziali (sanità, assistenza, pulizie ecc.) fondamentali nel contesto della pandemia stessa. In Italia, il Decreto Rilancio ha previsto una sanatoria per gli immigrati attivi nei settori dell’assistenza, del lavoro domestico e dell’agricoltura, lanciata dal Governo per venire incontro alle esigenze di cura dei familiari e di approvvigionamento alimentare del Paese. A fronte di una platea di circa 621.000 lavoratori stranieri irregolari sono state presentate “solo” 207.000 domande. Il motivo è dovuto essenzialmente all’impostazione della norma, che implica la volontà del datore di lavoro e l’esclusione di settori come la ristorazione, la logistica e il commercio. Sembra quasi che i diritti degli altri vengano esistano solo quando siano necessari per garantire i nostri. Abbiamo tanta strada da fare.

di Emilio Camosi, da «Frontiera» n.5 del 11 febbraio 2022

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