Rieti e l’accoglienza, c’è ancora molto da fare

Siamo spesso portati a pensare che la Migrantes si occupi solamente degli immigrati nelle città italiane. L’impegno per lo sdoganamento dei pregiudizi e volto all’inclusione e all’integrazione di culture diverse riveste un ruolo importantissimo per la commissione, in sinergia con le cooperative, ma non è l’unico proposito che si prefigge.

Infatti, il termine Migrantes include tutti coloro che migrano e con tutti si intendono anche persone italiane che si siano spostate nelle nostra città per lavoro o per altri motivi personali. Sebbene, infatti, i migranti italiani non possano incorrere nelle difficoltà date nello spostarsi in un Paese sconosciuto, con lingua, abitudini e cultura diversa, non è detto che il trasferimento sia sempre roseo e semplice in quanto si approda comunque in una realtà differente da quella di origine.

Se in una città grande solitamente non ci si aspetta di essere accolti ed integrati proprio perché ci si confonde in una moltitudine, in una città più piccola si desidererebbe ritrovare un ambiente comunitario in cui sentirsi parte di qualcosa o almeno per non sentirsi “quelli di fuori”.

Ma cosa avviene nella nostra città da questo punto di vista?

Sul mio profilo Instagram ho fatto una serie di domande a risposta multipla senza alcuna pretesa di standardizzazione (considerata anche l’esiguità del campione) rivolte alle persone fuorisede lavoratrici e/o studentesse. Nella maggior parte delle risposte, le persone affermavano di apprezzare Rieti dal punto di vista urbanistico ma di non sentirsi integrate e parte della comunità a causa della mancata accoglienza e della diffidenza dei cittadini.

Parlando con persone venute da fuori che vivono nella nostra città da tanto tempo, che hanno lavoro e famiglia qui, l’impressione è sempre che, nonostante si trovino bene, non si sentano perfettamente parte di questa città in quanto sempre etichettati come “quello venuto da qui/da lí”, “il marito/la moglie di”.

La cosa divertente è che al sondaggio hanno partecipato anche molte persone residenti a Rieti e quindi non fuorisede. Sicuramente questo è dovuto al fatto che non tutti abbiano letto la didascalia che introduceva ai quiz, ma è anche emblematico che alcuni reatini riconoscano che la nostra città non sia molto accogliente.

E se questo aspetto viene notato anche dagli stessi abitanti e dai migranti italiani, figuriamoci come questo problema possa essere avvertito dai migranti stranieri che vivono già differenze strutturali durante il loro arrivo.

Queste considerazioni ci spingono ad un’ulteriore considerazione: il fatto che per essere disposti ad accogliere da fuori bisogni innanzitutto accogliere ed essere disponibili anche con chi abiti vicino a noi.

In questo periodo difficile ed in cui si richiede il distanziamento sociale, è impensabile l’idea di attuare momenti di aggregazione fisica però si potrebbe cominciare a pianificare momenti di aggregazione culturale in ottica futura ma soprattutto occorre ripensare ai nostri atteggiamenti, al modo in cui potremmo entrare in connessione e in empatia con chi ci circonda, partendo da noi e dalla domanda: “e io, cosa potrei fare?”. Distanti ma uniti, appunto.

Perla Tozzi, Ufficio Migrantes