L’ascolto richiesto dal cammino sinodale della Chiesa italiana è rivolto a tutti, comprese le persone migranti e i richiedenti asilo. Proviamo allora a presentare alcune testimonianze dirette, tratte dall’esperienza nell’accoglienza del servizio Sai gestito da Il Samaritano
Ibrahima e Yaya sono due ragazzi rispettivamente del Senegal e del Gambia, sono a Rieti da circa un anno, entrambi hanno diciannove anni e rappresentano due casi in cui il percorso d’integrazione nella società e nello stile di vita europei è soddisfacente: frequentano la scuola media, hanno fatto un tirocinio formativo, hanno lavorato e giocano anche in una squadra di calcio della città. Tuttavia, il loro viaggio fino all’Europa non è stato facile.
«Durante il mio viaggio – racconta Yaya – ho incontrato tante difficoltà. Sono partito dal Gambia per andare in Senegal, poi Mali, Burkina Faso e Niger. Dal Niger sono entrato nel deserto del Sahara. Sono stati momenti estremamente difficili e complicati, perché nel deserto non ci sono alberi, strade, acqua. Sapevo che stavamo in un posto dove le persone muoiono o spariscono… poiché nessuno è stato in grado di trovarli nel deserto, avevo sentito tante storie su questo. Sono arrivato finalmente salvo in Libia, ma lì le cose erano ancora peggiori: rapimenti, persone derubate, ferite e anche uccise. Mi sono reso conto che in Libia nessun diritto umano viene rispettato. Quando ho potuto lasciare la Libia e imbarcarmi su una piccola barca per raggiungere l’Europa le cose non sono andate meglio: il mare era grosso, alcune persone sono cadute in acqua e sono sparite. I loro familiari non sapranno mai dove sono. Arrivato in Italia sono stato accolto in un progetto per minori non accompagnati in quanto avevo solo 17 anni, poi una volta compiuto il diciottesimo anno di età sono stato trasferito in un progetto dedicato all’accoglienza degli adulti proprio qui a Rieti, presso Il Samaritano odv della Caritas diocesana. Adesso mi sento davvero tranquillo, vorrei continuare a studiare. Il mio primo obiettivo è quello di migliorare la conoscenza della lingua italiana e il secondo di studiare matematica. Il mio sogno è invece quello di giocare nella Juventus».
Ibrahima spiega com’è la loro vita quotidiana qui a Rieti. «Andiamo alla scuola serale per il conseguimento della licenza media, dove studiamo geografia, matematica, inglese, italiano e poi lavoriamo. Giochiamo in una squadra di calcio locale e abbiamo vinto anche alcuni premi. L’esperienza del calcio è davvero bella, ci permette di giocare nello sport che amiamo, di socializzare con i nostri coetanei italiani, di non rimanere ai margini della società».
Entrambi i ragazzi raccontano di avere buoni rapporti con gli altri ospiti del centro di accoglienza, con i colleghi di lavoro, con gli operatori de Il Samaritano, e con tutti in generale.
Hanno un grande desiderio di diventare grandi giocatori di calcio, ma sanno bene qual è la loro priorità: avere un lavoro, per forza, per vivere, per sopravvivere bene dal momento che sono soli, senza una famiglia a accompagnarli. Ringraziano Rieti e i suoi cittadini perché qui si sentono bene.
In cerca di protezione
Ibrahima e Yaya hanno fatto domanda di protezione internazionale nel nostro paese in quanto sono stati entrambi vittime di violenze e costretti ad arruolarsi con gruppi militari armati. A malincuore hanno detto addio ai propri cari per cercare rifugio in Europa. Qui gli è stata riconosciuta la protezione internazionale ed ora hanno voglia di vivere come i loro coetanei.
di Antonella Liorni, da «Frontiera» n.4 del 4 febbraio 2022
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