Un naufragio di civiltà

Un accorato e recente appello di papa Francesco a non lasciare che il “mare nostrum” diventi un desolante “mare mortuum” ci interroga anche nella prossimità della Giornata della memoria sulla “banalità del male” e la debolezza della fede

È triste sentir proporre, come soluzioni, l’impiego di fondi comuni per costruire muri, per costruire fili spinati. Siamo nell’epoca dei muri e dei fili spinati. Certo, si comprendono timori e insicurezze, difficoltà e pericoli. Si avvertono stanchezza e frustrazione, acuite dalle crisi economica e pandemica, ma non è alzando barriere che si risolvono i problemi e si migliora la convivenza: sono parole di papa Francesco estrapolate dal suo discorso in occasione della visita al campo profughi di Lesbo il 5 dicembre scorso. Un discorso che tutti coloro che si dicono cristiani dovrebbero leggere e meditare per intero.

Scrivo queste note alla vigilia della Giornata della memoria. Intanto arrivano notizie che quel mare nostrum «che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti» continua «a tramutarsi» sempre più «in un desolante mare mortuum» (papa Francesco). Eventi tragici che interpellano la coscienza di ogni persona che conservi ancora nel suo DNA spirituale un pizzico di umanità. Dico questo perché mi rendo conto che la potenzialità distruttiva del male, alimentata e pianificata con strategie raffinate, può arrivare a soffocare se non proprio a estirpare radicalmente l’umano che Dio ha impresso nell’uomo quando ha pensato di chiamarlo alla vita creandolo a sua immagine e somiglianza.

D’altra parte, «siamo stati comprati a caro prezzo», ci ricorda l’apostolo Paolo nella prima Lettera ai Corinzi (6,20). La misura del male e della sua radicalità sta proprio nella morte del Figlio di Dio, il prezzo del nostro riscatto. Niente a che fare con “la banalità del male” in cui ci rifugiamo senza renderci conto che in realtà la scarsa consapevolezza del male che ci impedisce di essere quello che Dio vuole produce la “banalità dell’esperienza di fede e di chiesa” e la rende “inefficace” rispetto alla missione da compiere. Che cosa se non questa banalità ha permesso che un popolo di tradizione cristiana seguisse sulla strada della perversione umana più sconvolgente un tiranno assetato di potere come Hitler? Che cosa se non la banalità della fede professata, ancora oggi, fa del nostro continente, che rivendica le sue radici cristiane, un luogo dove si erigono muri e filo spinato e dove si pensa alla guerra come via di soluzione per questioni politiche e sociali?

Abbiamo appena concluso l’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani. Mi domando quanto abbia influito in negativo sulle vicende storiche che hanno afflitto e insanguinato il nostro continente e il mondo intero la divisione dei cristiani che hanno dimenticato, come ci ricorderà l’apostolo Paolo domenica prossima, che la fede e la speranza senza la carità/agape non hanno base solida su cui poggiare. La Chiesa è stata chiamata da papa Francesco a vivere un’esperienza sinodale per un profondo rinnovamento.

Sono convinto che, se ci mettessimo in ascolto attento della storia con l’umiltà di chi confessa il suo peccato, ci accorgeremmo che la Chiesa ha bisogno ritrovare la sua identità smarrita nei meandri di una religiosità resa banale e inefficace da logiche poco o per niente evangeliche. Ma questo è possibile solo se ci decidiamo una volta per tutte a far parlare la Parola. La sua, non le nostre.

di Lorenzo Blasetti, da «Frontiera» n.3 del 28 gennaio 2022

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